Finanza verde: un modo per sfuggire alla “trappola dell’investimento climatico” e garantire una transizione sostenibile

Condizioni locali poco attrattive per gli investimenti fanno aumentare la percezione del rischio e impediscono ai Paesi emergenti di ottenere i fondi necessari a finanziare politiche di contrasto ai cambiamenti climatici. Ma uscire da questa trappola è possibile

Alla COP26 che si è chiusa lo scorso 12 novembre i circa 200 Paesi che hanno partecipato allo storico evento hanno adottato il "Patto di Glasgow" per accelerare la lotta ai cambiamenti climatici e delineare le basi per il suo finanziamento futuro. L'accordo conferma l'obiettivo di limitare a 1,5 gradi centigradi il riscaldamento globale rispetto ai livelli pre-industriali, obiettivo per il quale è necessario garantire significative riduzioni delle emissioni globali di gas serra, con emissioni zero entro il 2050.

Alla luce di questi obiettivi ambiziosi, le economie sviluppate hanno un grande responsabilità nel mobilitare sufficienti risorse nei Paesi più poveri e in via di sviluppo tali da poter sostenere il costo delle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici. L'Agenzia internazionale per l'energia (Aie) stima che il mondo in via di sviluppo ha bisogno di oltre 1.000 miliardi di dollari all'anno per sostenere la necessaria transizione verso l'energia pulita e la conseguente riduzione delle emissioni.

I finanziamenti governativi o le risorse erogate da organismi di cooperazione internazionale non si avvicinano alle cifre necessarie per consentire anche ai Paesi in via di sviluppo di adeguarsi entro il 2030 agli obiettivi di riduzione delle emissioni. Per questo gli investimenti privati risultano cruciali per consentire anche alle nazioni più povere di poter ridurre le proprie emissioni e avviare politiche di transizione energetica senza compromettere il percorso verso lo sviluppo e la sostenibilità.

Tuttavia persistono una serie di ostacoli. Infatti, la vulnerabilità agli shock economici e climatici di gran parte dei Paesi più poveri si è acuita negli ultimi decenni e si è unita a contesti politici ed economici instabili, rendendoli poco attrattivi per gli investitori. Ciò blocca i Paesi nella “trappola dell’investimento climatico”, un circolo vizioso per cui condizioni locali poco attrattive per gli investimenti fanno aumentare la percezione del rischio e, di conseguenza, il costo del capitale, che a sua volta diventa un fattore scoraggiante per gli investimenti. Come è possibile per i Paesi in via di sviluppo uscire da questa “trappola”?
 

Green Bond e “blended finance” basata sulla collaborazione tra pubblico e privato

In un recente rapporto, la United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) ha affermato che una strada per adattarsi ai cambiamenti climatici e poter attirare risorse è quella di abbandonare l'austerità come quadro politico predefinito per gestire la domanda aggregata e passare a politiche a favore di investimenti pubblici su larga scala nella costruzione di un'economia diversificata a basse emissioni di carbonio, alimentata da fonti di energia rinnovabile e tecnologie verdi, e in cui le attività economiche all'interno e tra i settori sono interconnesse attraverso collegamenti efficienti sotto il profilo delle risorse. 

Un ruolo essenziale ha poi il potenziamento dei sistemi finanziari locali, dallo sviluppo del mercato dei green bond al riscorso alla “blended finance” – cioè meccanismi di finanziamento basati sulla collaborazione tra pubblico e privato, affinché i soggetti pubblici garantiscano una rete di sicurezza agli investimenti instaurando un circolo virtuoso che attiri sempre nuovi investitori privati, con un effetto che risulta amplificato se accompagnato dalla collaborazione con le banche internazionali di sviluppo.

Sulla scia dell’Accordo di Parigi del 2015, i green bond hanno assistito a una crescita notevole negli ultimi anni. Tali strumenti si differenziano dalle obbligazioni convenzionali per il beneficio ambientale atteso del progetto finanziato. Emessi per la prima volta nel 2007 dalla Banca europea per gli investimenti (Bei), i green bond - noti anche come obbligazioni climatiche - finanziano esclusivamente progetti con risultati positivi in materia di clima, ambiente e sostenibilità in una serie di settori, tra cui energia, trasporti, edilizia, agricoltura e risorse idriche. Questi progetti spaziano dalle infrastrutture per le energie rinnovabili, ai trasporti e agli edifici a basse emissioni.

Secondo Climate Bonds Initiative, un'organizzazione internazionale senza scopo di lucro, l'anno scorso l'emissione globale di obbligazioni verdi ha raggiunto la cifra record di 269,5 miliardi di dollari. Stati Uniti, Germania e Francia rappresentano i primi tre Paesi emittenti, mentre la Cina risulta al quarto posto. Tuttavia, sulla spinta della transizione ecologica anche il resto dell’Asia sta via via recuperando terreno. Secondo un rapporto di Moody's, nei primi tre mesi del 2021 gli emittenti dell'Asia Pacifico hanno rappresentato il 24 per cento delle emissioni globali, rispetto al 18 per cento di tutto il 2020.

L’emissione di green bond sta, seppur con una certa lentezza, prendendo piede anche in Africa, dove si trovano alcuni dei Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici a fronte di una intensità di emissioni del 4 per cento, un tasso relativamente basso rispetto ad altri continenti. Secondo stime della UNECA, il continente africano ha bisogno di circa 1.300 miliardi di dollari all'anno per raggiungere gli obiettivi dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Tuttavia, nonostante gli sforzi per migliorare la mobilitazione delle entrate interne, l'Africa deve affrontare un enorme divario finanziario per sostenere la sua agenda di sviluppo.

Ad oggi sono sei i Paesi del continente – Sud Africa, Marocco, Nigeria, Seychelles, Namibia e Kenya - ad aver emesso green bonds per finanziare progetti “green” in alcuni settori dell’economia. Altri Paesi stanno però cogliendo tale opportunità. All’inizio del 2021, il Ghana si è impegnato ad emettere fino a 2 miliardi di dollari in obbligazioni green per rendere maggiormente sostenibile la propria economia. A fine settembre anche l’Egitto - che ospiterà la Cop27 nel novembre 2022 -  ha iniziato ad emettere green bonds, divenendo il primo Paese arabo ad utilizzare questi strumenti. Il Cairo ha anche fissato un obiettivo per il 30 per cento dei progetti pubblici per soddisfare gli standard ambientali entro il 2024.
 

Meccanismi di “blended finance”, verso lo sviluppo sostenibile

Un altro sistema impiegato per sostenere progetti altrimenti considerati rischiosi dagli investitori è quello della “blended finance”, volta ad attrarre capitali commerciali verso progetti che contribuiscono allo sviluppo sostenibile fornendo al contempo ritorni finanziari agli investitori. Questo approccio innovativo aiuta ad ampliare la quantità totale di risorse disponibili per i paesi in via di sviluppo, integrando i propri investimenti e afflussi di Oda (Official Development Assistance) per colmare il loro deficit di finanziamento dei Sustainable Development Goals (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile) definiti dalle Nazioni Unite e sostenere l'attuazione degli accordi sul clima.

Secondo un rapporto pubblicato a fine ottobre da Convergence (il network globale per la finanza mista), dal 2015 al 2020 i flussi annuali di capitale finanziario misto sono stati in media pari a circa 9 miliardi di dollari. Tuttavia, come il resto del sistema finanziario globale, il mercato finanziario misto ha risentito degli effetti senza precedenti della pandemia di Covid-19. Nel 2020, l'anno oggetto dell'attuale rapporto, i flussi finanziari misti sono stati significativamente inferiori a 4,5 miliardi di dollari. L'Africa subsahariana continua a rappresentare la regione in cui si concentrano la maggior parte delle attività di finanziamento misto, quasi due terzi (61 per cento) delle operazioni finanziarie di questo tipo nel 2020. Anche l'Asia è emersa come una destinazione sempre più importante per la blended finance, avendo rappresentato nel 2020 la destinazione di circa il 36 per cento delle transazioni.