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Our World in Data

Il database che ci dice chi siamo

Nel 1400, ogni centomila persone, 70 erano vittime di omicidio. Nel 1700 erano “solamente” 12. Nel 2016, in Gran Bretagna, si è verificato invece un tasso di omicidi di uno su 200mila.

 

A volte i dati possono accendere una luce nelle tenebre e spiegarci chi siamo e dove andiamo. Riuscendo persino a convincerci che il mondo, tutto sommato, migliora e si può migliorare. A spiegarci dove va il pianeta  – o ad aiutarci a vederlo più in  chiaro – c’è un progetto che si chiama  “Our World in Data” e che è stato ideato da un giovane ricercatore della Oxford University. Max Roser, un economista nato in Germania, ha costruito un data base storico enorme che consente di confrontare dati praticamente su ogni cosa attraverso decenni: dallo sviluppo dell’energia e della tecnologia alla fame nel mondo o all’obesità, lo stato della popolazione, il settore pubblico, l’occupazione o il prezzo del cibo. E’ un sistema di raccolta che permette di farsi un’idea del mondo in cui viviamo e quindi dei suoi progressi nel tempo ma anche delle sue ancora numerose deficienze. Roser ha iniziato a studiare i trend globali che illustrano le condizioni di vita degli abitanti del pianeta e alla fine ha costruito un contenitore di dati che affrontano tutti gli aspetti del vivere sociale. Il sito è diviso in 16 macroaree che coprono sostanzialmente tutto l’arco della vita umana, dalla salute al consumo culturale, dallo sviluppo tecnologico alla demografia. A sua volta le macroaree sono divise in sottogruppi. Solo la salute ne ha una quindicina: dal fumo all’aspettativa di vita, dal tumore alla mortalità infantile.

 

Proprio la mortalità infantile è uno dei sottogruppi più cliccati negli ultimi mesi. Cosa dice il sottogruppo che conta quanti bambini non sopravvivono a un mese di vita? Ad esempio che in Bangladesh, dove nel 1990 morivano oltre 230mila infanti nel primo mese di vita, nel 2015 Dacca aveva raggiunto il bilancio di Giacarta, ossia poco meno di 75mila (in Indonesia nel 1990 erano 138mila, assai meno che in Bangladesh). Il grafico interattivo consente di aggiungere i Paesi di cui vogliamo sapere di più: se scegliamo l’Afghanistan vediamo per esempio che le vittime del primo mese nel 1990 erano meno di 30mila ma che adesso quel valore supera i 36mila. E’ ovvio che le considerazioni da fare sono molte: Bangladesh e Indonesia sono Paesi molto densamente popolati mentre in Afghanistan abitano meno di 35 milioni di persone e, inoltre, il Paese è in guerra, ininterrottamente, da ormai 40 anni.

 

In sostanza, un database di questo tipo ha senso solo se si incrociano i dati e li si situa in un contesto. Ma a volte i risultati sono stupefacenti: nello stesso grafico sulla mortalità infantile, figurano anche un paese africano (il Botswana) e uno centroamericano (il Costa Rica) che hanno un tasso “zero” per i bambini che non hanno superato il primo mese di vita. E’ così attualmente, ma era così anche nel 1990.

 

Il sito è affiancato da un blog che spiega anche come vengono elaborate le raccolte dei dati.

Nella macroarea “Cultura”, la tabella interattiva sull’alfabetizzazione globale tra gli adulti raccoglie, ad esempio, dati nel periodo 1800-2014. Un grafico che ci dice che negli ultimi due secoli la percentuale di adulti analfabeti è scesa dall'88% a meno del 15%. Ma – avverte il blog di Roser – “...questa prospettiva globale sull'educazione porta a una domanda naturale: cosa significa in realtà essere alfabetizzati in senso statistico?” Non è una domanda semplice, quel che interessa davvero sono le competenze di alfabetizzazione. La distinzione è importante perché le competenze di alfabetizzazione sono complesse e si estendono su una gamma di sfumature, mentre i tassi di alfabetizzazione assumono una netta distinzione binaria tra coloro che sono e non sono "alfabetizzati”.  In un’altra analisi si prende in considerazione l’uso di sostanze che creano dipendenza e stati di disordine mentale. I grafici ci dicono ad esempio che circa il 2,2% della popolazione mondiale ha problemi di dipendenza il che totalizza 164 milioni di persone e che tale problema supera il 5% della popolazione in paesi dell’Est Europa o negli Stati uniti. Quali sono queste sostanze?  La dipendenza dall’alcol è responsabile, dice il grafico, di oltre la metà (1,3%) di quel 2,2 totale. Conoscerci meglio è il punto di partenza per migliorare la condizione umana e quella del pianeta.

 

The Human Safety Net è la principale iniziativa promossa da Generali a favore delle comunità in cui opera. The Human Safety Net amplia la missione del Gruppo di protezione e miglioramento della vita delle persone al di là della quotidiana attività di business, per supportare i più vulnerabili della nostra società, in linea con la Carta degli Impegni di Sostenibilità di Generali.

 

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