Quando pensiamo al fenomeno della malnutrizione, le prime immagini che balzano alla nostra mente riguardano la mancanza o la scarsità di cibo.
In realtà la malnutrizione, soprattutto nei soggetti più giovani, appare sotto molteplici aspetti spesso sovrapposti: sovrappeso, obesità, “fame nascosta”, disturbi della crescita, debilitazione.
Nonostante i grandi passi avanti compiuti nei paesi in via di sviluppo, questi fenomeni rimangono ancora diffusi in tutto il mondo. Al centro di questo problema c'è un sistema alimentare sbagliato che non riesce a fornire ai bambini le diete di cui hanno bisogno per crescere sani. E la sfida di tutto il mondo è quella di cambiarlo, adattandolo a degli standard nutrizionali ormai scientificamente accettati.
Il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF) ha pubblicato il report “The State of World Children 2019” con un sottotitolo molto significativo come “Growing well in a changing world”, ossia “Crescere bene in un mondo in cambiamento”, che illustra i problemi legati alla nutrizione delle fasce più giovani della popolazione nell’età fondamentale della crescita, sia di paesi industrializzati che di paesi in via di sviluppo.
La malnutrizione si compone sostanzialmente di tre componenti distinte:
Il fenomeno della denutrizione o iponutrizione (undernutrition) continua a colpire decine di milioni di bambini. La mancanza di un’alimentazione adeguata, soprattutto nei primi 1000 giorni dal concepimento può compromettere permanentemente la crescita e impedire il raggiungimento del pieno potenziale fisico e intellettuale. La denutrizione colpisce anche soggetti in qualsiasi fase della vita in circostanze quali carenza di cibo e infezioni, spesso aggravate da conflitti e crisi umanitarie.
La fame nascosta (hidden hunger) si configura come la mancanza di vitamine e minerali essenziali durante l’alimentazione quotidiana. La fame nascosta è fenomeno insidioso, perché spesso viene rilevata quando è già troppo tardi.
Il sovrappeso (overweight), soprattutto nella forma più estrema dell’obesità, è stato a lungo considerato una condizione esclusiva dei paesi ricchi e sviluppati, ma ora si è diffusa anche nei paesi più poveri. La causa è legata alla maggiore disponibilità di calorie a basso costo, contenute in cibi grassi e zuccherati facilmente acquistabili ormai in quasi tutti i paesi del mondo.
Passati i primi sei mesi di età i bambini iniziano a mangiare cibi morbidi o semi-solidi ed hanno di diete equilibrate e diversificate negli alimenti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda una dieta che contenga almeno cinque degli otto gruppi alimentari previsti per i bambini di questa età (i gruppi alimentari si riferiscono a: cereali, latte materno, latticini, frutta e vegetali ricchi di vitamina A, alimenti a base di carne, legumi, uova e altre verdure/frutta). La mancanza di diversità nella dieta dei bambini può avere infatti un impatto devastante sullo sviluppo fisico e mentale.
In un’indagine che ha coinvolto 72 paesi tra il 2013 e il 2018 (per un campione rappresentativo del 61% della popolazione globale) l’UNICEF ha rilevato come Il 59% dei bambini di tutto il mondo non viene nutrito con nutrienti da cibi di origine animale, mentre il 44% dei bambini di tutto il mondo non viene nutrito con frutta o verdura.
Meno di un bambino su tre è nutrito dal numero minimo di gruppi di alimenti, e la percentuale si abbassa ulteriormente se vengono prese in considerazione le regioni più povere del pianeta, come l’Asia del Sud (India, Pakistan, Bangladesh, Nepal, e Sri Lanka) e l’Africa Orientale (Eritrea, Etiopia, Somalia e Tanzania, tra gli altri).
Entrando nello specifico dei paesi emerge una differenza ancora più significativa rispetto a quella strettamente geografica: la percentuale di bambini che viene nutrita con la diversità dietetica minima (5 gruppi alimentari su 8) scende di più di quindici punti percentuali se vengono prese in considerazioni la ricchezza del nucleo familiare e il luogo di residenza (aree urbane, aree rurali).
Secondo l’UNICEF la strada da percorrere per migliorare la situazione poggia su diverse priorità: prima di tutto occorre raccogliere, analizzare e utilizzare regolarmente dati sulla nutrizione giovanile per tenere traccia dei progressi, e capire dove orientare eventuali decisioni di policy. In secondo luogo bisogna intervenire direttamente su produttori e i fornitori di alimenti, creando condizioni di parità per tutti e garantendo che le loro azioni siano in linea con il migliore interesse dei bambini visto che la domanda di cibo salutare da sola non è sufficiente: deve essere anche economico, sicuro e conveniente, se si vuole cambiare il panorama nutrizionale globale. In ultimo luogo si può andare a intervenire con azioni come l'etichettatura obbligatoria degli alimenti più nutritivi e la protezione contro quelli meno sani.