Investitore responsabile

Più falchi e meno colombe

In uno scenario radicalmente mutato rispetto alla ripresa del 2021, le Banche centrali in Europa e USA sono risolute a lottare contro un’inflazione ai massimi livelli da quarant’anni, mentre i Paesi cercano di contrastare le conseguenze della guerra in Ucraina. L’analisi di Generali Investments

L’aumento dei costi di materie prime, cibo ed energia legato al conflitto in Ucraina ha rapidamente mutato le prospettive di un’economia globale che nel 2022 stava risalendo la china dopo la crisi provocata dalla pandemia di Covid-19 nel 2020. La produzione mondiale si è contratta nel secondo trimestre del 2022 a causa delle flessioni in Cina e Russia, mentre la spesa per consumi negli Stati Uniti ha deluso le aspettative. Diversi shock hanno colpito un'economia mondiale già indebolita dalla pandemia, in particolare:

  • inflazione mondiale superiore alle attese – soprattutto negli Stati Uniti e nelle principali economie europee – che ha innescato condizioni finanziarie più restrittive; 
  • un rallentamento peggiore del previsto in Cina, che riflette focolai e nuove serrate per contenere il Covid a cui si aggiungono ulteriori ricadute negative derivanti dal persistere del conflitto in Ucraina. 

 


Contro l’inflazione prevale la linea dura


Come evidenziato nel rapporto di Generali Investment di settembre 2022 “Market Perspectives - Tightening pain, al summit organizzato lo scorso 26 agosto dalla Federal Reserve a Jackson Hole, nel Wyoming, i rappresentanti delle più importanti Banche centrali a livello mondiale hanno ribadito la necessità di una comune lotta all’inflazione adottando una politica monetaria restrittiva caratterizzata da un aumento generale dei tassi di interesse nonostante le conseguenze per famiglie e imprese, in quello che il presidente della Fed, Jerome Powell, ha definito “uno sfortunato costo per ridurre l’inflazione”. 

Oltre al previsto rialzo dei tassi di 75 punti base, la riunione di settembre ha mostrato che la Fed è determinata a inasprire le condizioni monetarie a un ritmo ancora più rapido e che prevede di mantenere i tassi a un livello restrittivo più a lungo, raggiungendo il 4,5% a dicembre e con un ulteriore aumento di 25 punti base nel 2023. Un messaggio molto aggressivo, volto a dissipare la percezione del mercato che la Fed possa rinunciare a mantenere i tassi alti a lungo per timore di una recessione.

Con la Fed e la Banca centrale europea (Bce) che sostengono il loro impegno in materia di inflazione, le prospettive per un cambio di rotta nel breve periodo sono decisamente poco probabili. Sull’onda della Fed, lo scorso 8 settembre anche la Bce ha alzato i tassi di 75 punti portando il tasso di riferimento sui depositi allo 0,75 per cento, aumento che ha seguito quello di fine luglio, quando il rialzo era stato dello 0,5 per cento. La Bce ha anche rivisto al rialzo le sue aspettative di inflazione, a una media dell′8,1 per cento nel 2022.

 


Quali scenari per l’economia globale?

 

Nell’Investment View “Waiting for Godot pivot”, Generali Investments indica la rapida stretta monetaria e la crisi energetica dell'UE come potenti venti contrari per l'economia globale, che hanno portato alla crescita delle forze recessive nel corso dell'anno.

 L'economia statunitense, ormai autosufficiente, è relativamente isolata dalla crisi energetica. Ma la rapida stretta monetaria ha portato a un forte deterioramento delle condizioni finanziarie, che inevitabilmente danneggerà la crescita dopo il rimbalzo a breve termine del terzo trimestre. Una recessione del settore manifatturiero è praticamente certa, anche se si prevede una migliore tenuta dell'economia in generale (+0,3% nel 2023).

Al contrario, la crisi energetica europea lascerà segni duraturi. Poiché i prezzi dell'energia elettrica in UE sono strettamente correlati ai prezzi del gas, l'Europa è diventata molto meno competitiva. I settori ad alta intensità energetica, come alluminio/acciaio, vetro, chimica, agroalimentare, ecc. stanno subendo tagli alla produzione e/o delocalizzazioni al di fuori del continente. La catena di approvvigionamento energetico è stata rapidamente riorganizzata e le riserve di gas si sono accumulate rapidamente; ma l'effetto dei prezzi rimane e potrebbe comunque essere necessario ricorrere al razionamento se l’inverno dovesse essere particolarmente rigido. L'Europa ha subito un forte shock sulle ragioni di scambio, che ha causato un deterioramento significativo della sua bilancia commerciale. Quando anche le partite correnti diventeranno negative, l'eccesso di risparmio interno svanirà e l'Europa diventerà più dipendente dagli investitori stranieri, il che potrebbe causare un aumento relativo dei tassi di interesse reali a lungo termine. Si prevede una lieve recessione (-0,3% nel 2023), ma le simulazioni macro di scenari avversi al gas naturale indicano un calo potenzialmente molto maggiore (3% o più).



L’inflazione è qui per restare?


L'elevata dipendenza dell'area dell'euro dall'energia russa a basso costo risalente a prima della guerra la rende particolarmente vulnerabile non solo alle carenze energetiche, ma anche allo shock dei prezzi indotto dal costo dell’energia. L'inflazione complessiva è salita al 10,0% (anno su anno) a settembre. Un'inflazione elevata, pari in media all'8,2% nel 2022 e al 5,0% nel 2023, inciderà sui redditi reali. È d’altra parte positivo il fatto che lo stoccaggio di gas nell'UE ha raggiunto attualmente circa l'88% della capacità, che permette di coprire il fabbisogno energetico per circa due mesi invernali. La domanda di gas dovrà essere ulteriormente ridotta, ma con condizioni climatiche nella media l'area euro potrebbe essere in grado di superare l'inverno nonostante la riduzione delle forniture di gas dalla Russia.

D'altra parte, l'elevata incertezza frenerà ulteriormente la fiducia e la spesa per gli investimenti. Soprattutto le imprese ad alta intensità energetica risentiranno dell'aumento dei costi dei fattori produttivi. Nonostante la solidità del mercato del lavoro e le misure governative per attutire le conseguenze degli alti prezzi dell'energia, si prevede una recessione per l'economia dell'area dell'euro dal terzo trimestre 2022 al primo trimestre 2023. A differenza di quanto accaduto con le precedenti flessioni, la BCE non interverrà: con circa il 75% delle voci dell'indice dei prezzi al consumo che riportano tassi di inflazione superiori al 2,5% e il persistere di pressioni considerevoli, lo sguardo è puntato sulla riduzione dell'inflazione.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, dopo un primo trimestre debole e una timida ripresa nel terzo trimestre, la crescita è destinata a rallentare notevolmente a partire dagli ultimi mesi dell'anno, con una probabilità di recessione superiore al 60% nella prima metà del 2023. Nonostante un mercato del lavoro ancora solido e gli aumenti salariali, l'impennata dei prezzi dell'energia frenerà i consumi e i settori dell'economia più sensibili ai tassi di interesse stanno già risentendo dell'inasprimento delle condizioni monetarie.

Il livello di inflazione core raggiunto (6% anno su anno in agosto) è solo in parte compensato dal calo dell'inflazione dei prezzi dei beni, dato dalla diminuzione della domanda e dal fatto che le strozzature dell’offerta globale iniziano a sbloccarsi. Mentre l’headline rate ha già raggiunto il picco e sta assumendo valori più moderati grazie al calo dei prezzi del petrolio, l'inflazione di fondo permarrà. È improbabile che scenda sotto il 5% prima dei primi mesi del 2023 ed è proprio questa la prospettiva che ha spinto la Fed a comportarsi da “falco” alla riunione di settembre sopra citata.

Pur riconoscendo che tutto ciò aumenta notevolmente il rischio di un brusco atterraggio, la Fed ha segnalato che il tasso di policy è destinato a rimanere ben al di sopra (circa 200 punti base) del livello neutrale fino al 2024. Un periodo prolungato di crescita inferiore al trend è il prezzo da pagare per contenere l'inflazione. La tensione tra l'inasprimento della Fed e il rallentamento dell'economia sarà quindi un tema chiave nei prossimi mesi, quando si cercherà di trovare un riequilibrio tra la spinta al ribasso dell'inflazione e la prevenzione di un'impennata eccessiva della disoccupazione. Ma un cambio di rotta sembra improbabile nel prossimo futuro.