Datore di lavoro responsabile

A proposito di migrazioni

Intervista a Carlotta Sami

La questione rifugiati non è un’emergenza e non riguarda solo l’Europa, Africa e Medio Oriente fronteggiano situazioni ancora più complicate. Carlotta Sami, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) nell’Europa del Sud, ha accettato di fare il punto con noi sul tema.

 

Qual è la situazione nel Mediterraneo e lungo la rotta dei Balcani?

La rotta dei Balcani e quella del Mediterraneo vengono spesso associate, descritte come un’unica cosa. Ma sono tra loro distinte. Lo si desume per esempio dalle nazionalità delle persone che arrivano in Europa da queste rotte: non coincidono, variano molto. E ovviamente cambia l’intensità dei flussi. Ora assistiamo alla crescita di quelli mediterranei, mentre prima abbiamo avuto un picco lungo i Balcani.

Però vorrei sottolineare che tutta questa attenzione sulle rotte mediterranea e balcanica, e sui Paesi europei più interessati dai flussi (vedi l’Italia), rischia di collocare in secondo piano la situazione che vivono alcuni Stati quali Egitto, Libia, Iraq, Sudan, Giordania, Turchia, Libano. Ognuno di essi ospita un numero enorme di rifugiati. Il Libano due milioni, a fronte di una popolazione di circa 6. Per fare un confronto sono 200mila i rifugiati attualmente presenti in Italia, il Paese Ue al momento più esposto ai flussi. Per non parlare del Niger, che è penultimo nella scala mondiale dello sviluppo ma ospita centinaia di migliaia di rifugiati da Nigeria e Mali. Lo scenario è complicato anche in Uganda, con 800mila rifugiati dal Sud Sudan.

 

Come operate in questi Paesi?

Cerchiamo di sviluppare programmi che facilitino il lavoro e l’istruzione. In molti di questi Paesi, fino a poco tempo fa, i rifugiati non potevano proprio lavorare e l’accesso alle scuole non era sufficientemente garantito. Penso al Libano, dove la maggior parte delle scuole è privata, con costi dunque difficili da sostenere. Fortunatamente, in alcuni di questi Paesi siamo riusciti a convincere le autorità locali ad approvare leggi finalizzate a garantire un accesso migliore a scuola e lavoro. Prima, per dire, in Turchia meno della metà dei ragazzi rifugiati andavano a scuola, ora va molto meglio. Ankara ha mostrato grande disponibilità. E non solo la Turchia: va dato atto a questi Paesi che si danno da fare per sostenere una situazione per loro davvero difficile. Oltre a scuola e lavoro l’UNHCR, comunque, è attivo anche con altre iniziative. Forniamo un sostegno anche economico ai rifugiati, per quel che si può. Carichiamo il denaro su tessere e non poniamo vincoli sul modo in cui si può spendere. Si ha la libertà di usarlo come si crede, per comprare le cose di cui si ha bisogno.

 

Perché i rifugiati, a un certo punto, lasciano questi Paesi e cercano di andare in Europa?

Intanto bisogna fare chiarezza. In Turchia, Libano e altrove i rifugiati vivono prevalentemente nelle città, in case che affittano o, se non hanno sufficiente disponibilità, in luoghi precari. Il fatto che siano spinti a cercare la via dell’Europa – sempre meno, per la verità – dipende dal modo in cui avevano impostato la loro vita in patria: in funzione del lavoro e dell’istruzione dei figli che in Europa è possibile garantire in modo più efficace, con una prospettiva, un progetto di futuro. Il dramma è che non c’è un modo sicuro di arrivare. E i Paesi poveri che ospitano un numero molto elevato di rifugiati non capiscono perché l’Europa non faccia di più.

 

Cosa si dovrebbe pretendere dallEuropa?

In Europa ci sono soltanto due milioni di rifugiati, a fronte dei 65 milioni sparsi per il mondo. Si potrebbe fare di più e meglio, a partire dalla redistribuzione interna dei rifugiati. Il piano della Commissione Europea su questo punto è rimasto largamente inatteso: pochi sono i Paesi che hanno rispettato gli obblighi sottoscritti. Una felice eccezione è il Portogallo, che ha accolto i rifugiati che doveva accogliere e messo in piedi programmi di accoglienza e percorsi di integrazione: non è e non sarà facile, ma è un Paese che ha ragionato anche in funzione della sua composizione demografica, rendendosi conto che invecchia. Alcuni mesi fa l’UNHCR ha presentato un documento, indicando delle soluzioni pragmatiche su gestione delle frontiere, redistribuzione interna dei rifugiati, accoglienza ed esercizio di influenza all’estero.

 

Influenza verso chi o cosa?

L’Europa deve saper imporre cambiamenti radicali, ma come Unione, evitando che i suoi membri ragionino e agiscano in ordine sparso. Per cambiamenti radicali intendiamo la forza di portare avanti politiche di sviluppo più strategiche. Occorre capire che un rifugiato non è un’emergenza, perché può rimanere tale anche per vent’anni, ed è necessario modificare il modo in cui si sostengono questi Paesi. Serve rafforzare la scuola, combattere il cambiamento climatico, formare il personale amministrativo.

Rispetto ad alcuni anni fa, osserviamo che oggi c’è una minore capacità di risolvere i conflitti. Dunque ci sono più guerre e più rifugiati. Questa situazione continuerà e, di conseguenza, i Paesi più poveri incontreranno fatiche crescenti a livello di gestione dei flussi di rifugiati. È sempre più necessario, allora, investire in questi contesti. Banca Mondiale, Unione Europea, ma anche i privati: ognuno può fare la sua parte.