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Le incognite della piramide demografica

Intervista ad Alessandro Rosina, Docente di Demografia, sulla gestione delle società che invecchiano

Intervista ad Alessandro Rosina, Docente di Demografia, sulla gestione delle società che invecchiano

L’espressione ageing society (o ageing population), attualmente molto in voga, indica una tendenza molto semplice e generalizzata: l'invecchiamento demografico. Il primato, si sa, è detenuto dall'Europa, con un’età media che, secondo le previsioni dell'ONU, nel 2050 arriverà a ben 47 anni. L'Africa è invece il continente più giovane (e secondo le previsioni lo rimarrà a lungo): la sua età media nel 2050 arriverà a 31 anni. Si collocano in una zona intermedia le altre macro aree: 39 anni (nel 2050) in Asia, 42 in Nord America, 38 in America Latina e nei Caraibi, 39 in Oceania.

Intervista ad Alessandro Rosina, Docente di Demografia, sulla gestione delle società che invecchiano - The mystery of the population pyramid

In Europa, i paesi più vecchi sono proprio la Germania e l’Italia, mentre i più giovani la Francia e i paesi scandinavi, dove la fecondità è vicina ai due figli. «In Italia», spiega Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano, «si sta creando una struttura demografica in cui i piani alti, dove ci sono le persone nate negli anni ’50 e ’60, sono molto consistenti e i piani bassi sono sempre più ridotti, quindi c’è anche il rischio che questo edificio non abbia una gran solidità». Nulla di cui stupirsi: l’invecchiamento della popolazione è un fattore comune a tutti i paesi industrializzati, con un’aspettativa media di vita che sfiorerà gli 85 anni nel 2040. Ma come vive, come si comporta e che esigenze ha questa nuova generazione di over 65?

 

In Italia questa fascia demografica in espansione si identifica con la generazione dei baby boomer, oggi così numerosi da mettere in crisi anche il welfare tradizionale, ma che costituiscono un bacino importante per i consumi. La maggior parte di loro è in pensione, alcuni lavorano ancora, altri fanno tutte e due le cose o sono impegnati tra associazionismo e volontariato. Si tratta, quindi, di anziani attivi, che non si sentono “vecchi” e che fanno piuttosto da “generazione sandwich”, da un lato curando i propri genitori, i cosiddetti “grandi anziani”, e dall’altro i propri figli, meno garantiti di loro.

 

Va da sé che l’invecchiamento della popolazione influenza in modo massiccio il mondo del lavoro, innanzitutto rendendo sempre più importanti tutte quelle attività legate alla cura della persona. Da questo punto di vista Bolzano, una delle città più ricche d'Europa, rappresenta un esempio virtuoso. Da quando il 23,5% della popolazione ha superato i 65 anni, infatti, il sindaco, per evitare l’esclusione di una fascia debole dai servizi, ha deciso di adottare soluzioni tecnologicamente all’avanguardia, avviando, in collaborazione con IBM, il progetto Abitare Sicuri, che mira al tele-monitoraggio e alla tele-assistenza degli anziani e di quei soggetti che richiedono un’assistenza presso le proprie abitazioni. Il sistema comunica un senso di sicurezza agli assistiti e permette di mantenere le persone nelle proprie case anziché costruire strutture dedicate, riducendo perciò i costi del servizio socio-sanitario.

 

Esiste però l’altra faccia del binomio anziani-lavoro: l’invecchiamento attivo. L’ingresso nel mercato del lavoro si è spostato in avanti, e anche la data d’uscita. La sfida per le aziende è progettare nuovi interventi per favorire l’active ageing, l’invecchiamento attivo, garantendo la giusta collocazione dei senior nell’organigramma.

 

L’Osservatorio permanente sull’Active Ageing dell’agenzia per il lavoro Randstad monitora il settore dal 2012. In un rapporto vengono presentati sei casi di grandi imprese, da Abb a STMicroelectronics, che hanno mostrato esempi di buone pratiche di age management, cioè di gestione dell’età. Nelle best practice troviamo casi in cui i dipendenti senior sono stati utilizzati in azienda come mentori per i più giovani, casi di coaching reciproco tra over 50 e under 35, forme di job sharing (cioè di condivisione dello stesso turno tra più lavoratori), programmi di formazione continua, piani di carriera alternativi, ma anche benefit medico-sanitari per lo screening e la prevenzione e nuove possibilità di conciliazione lavoro-famiglia. Senza dimenticare il ricollocamento dei lavoratori over 50 che hanno perso il lavoro.

«Non deve trattarsi di un adattamento al ribasso, di prepararsi a una condizione passiva», spiega Alessandro Rosina: «anzi, si tratta di accogliere l’invecchiamento con vitalità, entusiasmo, anche con l’idea di poter fare cose diverse rispetto al passato, di innovare il proprio ruolo sociale, anche con l’investimento sulla propria persona e sulla propria crescita, che è il vero aspetto attorno a cui si può costruire un invecchiamento attivo di successo. Ed è questa la sfida vera che consentirà a Paesi maturi come l’Italia di continuare a crescere e a produrre benessere anche con una popolazione che invecchia».