Il Papa americano che guida con il silenzio

Rispetto a Bergoglio, Leone XIV ha un passo nuovo: meno impatto mediatico, cerca però di imprimere la sua impronta in modo diverso. E lo sta già facendo dai primi giorni

Andrea Fioravanti
Tempo di lettura: 2'30"
Credit: ABACA PRESS/ALAMY

IL CONTESTO
Colloquio con padre James Martin sui primi mesi del papato di Leone XIV, tra piccole e grandi decisioni che raccontano già molto.

I primi mesi di Papa Leone XIV hanno mostrato con chiarezza che la Chiesa cattolica è entrata in una nuova stagione. Il confronto con Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, è inevitabile: il gesuita argentino aveva trasformato l’immagine del papato, rendendolo immediatamente riconoscibile attraverso gesti semplici e potenti, dall’abbraccio ai migranti a Lampedusa al celebre «chi sono io per giudicare?». Leone XIV ha un passo diverso: non cerca la frase mediatica e non alza i toni, piuttosto cerca di imprimere la sua impronta nella storia in modo diverso.

Credit: MARIA GRAZIA PICCIARELLA/ALAMY
Credit: DPA PICTURE ALLIANCE/ALAMY


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E per chi sa ben guardare, già nei primi mesi di pontificato il nuovo pontefice ha preso piccole e grandi decisioni che raccontano molto delle sue intenzioni per i prossimi mesi e anni. La trasformazione di Castel Gandolfo in Borgo Laudato Si’, laboratorio di ecologia integrale; la canonizzazione di Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati; i richiami costanti alla pace nei teatri di guerra; il severo avvertimento ai vescovi sul tema degli abusi; la concessione ai tradizionalisti di celebrare in San Pietro la Messa in latino. Sono scelte diverse, alcune più mediatiche, altre più riflessive, ma tutte mostrano la volontà di ricucire le fratture nella Chiesa cercando l’unità senza aver paura di mostrare la giusta fermezza.

Per orientarsi meglio e cogliere il senso profondo di questi gesti è utile ascoltare la voce di padre James Martin, gesuita statunitense tra i più noti a livello internazionale. Scrittore e saggista, collabora da anni con “America – The Jesuit Review” ed è consultore del Dicastero vaticano per la Comunicazione. È anche il fondatore di Outreach, una rete cattolica nata per offrire sostegno e spazi di dialogo alle persone Lgbtq+ e alle loro famiglie, con conferenze, pubblicazioni e iniziative pastorali che promuovono rispetto e accoglienza. Il suo ultimo libro, edito in Italia, è “Lazzaro, vieni fuori!” (Libreria editrice vaticana).

Leone XIV lo ha ricevuto in udienza privata il primo settembre. Non è stato solo un incontro di cortesia tra due cattolici americani, ma un segnale forte in continuità con Papa Francesco, che già aveva incoraggiato Martin nel suo ministero, a conferma di una linea pastorale precisa: l’ascolto delle periferie, il riconoscimento delle ferite, la volontà di offrire uno spazio ecclesiale a chi troppo spesso si è sentito escluso. Leone XIV ha voluto ribadire che la sua Chiesa non teme il dialogo e tantomeno l’accoglienza.

Secondo padre Martin, in questi primi mesi il Papa si è ambientato al nuovo ruolo senza troppa difficoltà. «Ho l’impressione», spiega, «che il Santo Padre si stia inserendo molto bene. Certo, ha una personalità diversa da quella di Papa Francesco, ma questo è un bene. Leone XIV è un uomo intelligente, riflessivo, riservato, molto acuto e soprattutto un ottimo ascoltatore. Credo che Leone debba semplicemente essere Leone. Se ci pensiamo, tutti i papi recenti erano uomini molto diversi tra loro: Paolo VI non era come Giovanni Paolo I, che non era come Giovanni Paolo II, che non era come Benedetto XVI, che non era come Francesco, che non è come Leone. La chiave è che ciascuno sia sé stesso, facendo ciò che ritiene più adatto ai bisogni della Chiesa e alle proprie doti. Penso che il mondo scoprirà in Papa Leone un comunicatore capace, un uomo saggio e un grande papa».

Per Martin, i tratti distintivi di Robert Francis Prevost sono facili da riconoscere, perché li ha resi evidenti fin dall’inizio: «Innanzitutto la sua devozione a Gesù Cristo e la fedeltà alla Chiesa. Poi il desiderio di portare avanti, naturalmente a modo suo, l’eredità di Francesco, in particolare la sinodalità e la cura per chi vive ai margini. Un terzo elemento è l’enfasi sull’unità: i suoi gesti verso le diverse sensibilità, progressisti e tradizionalisti, sono stati splendidi. Questo lo si vede anche nel motto che ha scelto: In illo Uno, unum (Nell’Uno, siamo uno). Infine, la sua costante preoccupazione per la pace, in luoghi come Gaza e l’Ucraina. In quasi ogni Angelus o udienza pubblica ritorna su questo tema. Per me è chiaro che la sua elezione è stata opera dello Spirito Santo».

Nei suoi messaggi, il pensiero costante per la pace, in luoghi come Gaza e l’Ucraina

Fin dal primo intervento, la pace è il filo rosso che attraversa ogni intervento pubblico del Pontefice. Non c’è Angelus in cui Leone XIV non citi almeno un conflitto aperto, segno anche dei tempi difficilissimi nei quali viviamo. Un altro elemento caratteristico è la sinodalità, cioè la scelta di governare consultando i fedeli e i vescovi, facendo della Chiesa un corpo che cammina insieme. «Sono rimasto colpito dal fatto che l’abbia citata subito, affacciandosi al balcone dopo l’elezione», dice Martin. «Forse anche perché è stato eletto a sessantanove anni, non dà l’impressione di essere – come diciamo in inglese – “un uomo di fretta”. I suoi gesti verso destra e sinistra sono stati molto saggi».

Uno dei momenti più emblematici di questo avvio è stata l’inaugurazione, il cinque settembre, del Borgo Laudato Si’ a Castel Gandolfo. Per secoli residenza estiva dei papi, chiusa e riservata, la villa è stata trasformata in un centro di ecologia integrale: orti e serre biologiche, percorsi educativi per studenti, laboratori per famiglie. È la traduzione concreta dell’enciclica “Laudato si’” di Francesco. Martin interpreta così questa scelta: «Papa Leone XIV è certamente un papa dei gesti. Ma lo era anche Francesco, che abbracciò l’uomo sfigurato dalla malattia o lavò i piedi ai detenuti. Allo stesso modo, Leone XIV è anche un uomo di parole, nei suoi discorsi all’Angelus e nelle udienze. Direi che tutti i papi, da Giovanni XXIII in poi – e come Gesù stesso – hanno saputo usare insieme parole e gesti».

E un gesto compiuto da Leone XIV che ha fatto discutere è stata l’autorizzazione al cardinale Raymond Burke di celebrare la Messa in latino nella Basilica di San Pietro, in occasione del pellegrinaggio dei gruppi legati al Summorum Pontificum. Parliamo della lettera apostolica con cui Benedetto XVI, nel 2007, aveva concesso ampia libertà nell’uso del Messale del 1962, cioè la liturgia tridentina precedente al Concilio Vaticano II. Ogni anno fedeli da vari Paesi convergono a Roma per chiedere che quella forma liturgica continui ad avere spazio nella vita della Chiesa e celebrare in San Pietro rappresenta per loro un riconoscimento particolarmente significativo. «Molti saranno sorpresi», osserva Martin, «ma penso che sia stata una decisione molto buona. La Messa tridentina fa parte della nostra tradizione e, anche se io celebro in lingua vernacolare, credo sia giusto riconoscere che per molti quella forma liturgica è una consolazione profonda. È, ancora una volta, un gesto del Santo Padre per favorire l’unità».

Il 7 settembre Leone XIV ha canonizzato Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati. Acutis, adolescente milanese morto nel 2006 per una leucemia, era appassionato di informatica e aveva realizzato una mostra digitale sui miracoli eucaristici. Frassati, giovane torinese degli anni Venti, figlio di Alfredo, storico direttore de “La Stampa”, era uno sportivo e amante della montagna, si oppose al fascismo e dedicò la vita all’aiuto dei poveri. «Entrambi», afferma Martin, «mandano messaggi forti ai credenti di oggi. Come studioso dei santi direi che dobbiamo guardare alle loro vite intere, non solo a un aspetto. Carlo non era semplicemente un ragazzo del computer devoto all’Eucaristia, per quanto questo sia importante; era anche un giovane che ha conosciuto la sofferenza. Pier Giorgio non era solo un alpinista e un organizzatore di attività giovanili, ma anche un giovane che protestò contro il fascismo. L’invito è a vedere le loro vite nella loro pienezza. Francamente penso sia meraviglioso che Dio ci abbia donato due nuovi santi così rilevanti e così interessanti per i giovani di oggi».

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L'APPROFONDIMENTO

Cattolici americani

Negli Stati Uniti, il 20% della popolazione si definisce di religione cattolica. Il 54% è composto da bianchi, il 36% da persone di origine ispanica. Più di quattro su dieci sono immigrati o figli di immigrati. Il 53% si identifica con il Partito Repubblicano, il 43% con i Democratici. Il 59% si ritiene favorevole all’aborto legale.

Un capitolo da sempre delicato riguarda l’approccio della Chiesa verso i fedeli Lgbtq+, tema che accompagna da anni il dibattito ecclesiale e che Leone XIV sembra voler affrontare senza ambiguità, nel solco dell’accoglienza evangelica. Un terreno che padre Martin frequenta da anni e che è diventato parte integrante della sua missione pastorale e del suo impegno di evangelizzazione. «Il Catechismo dice che gli atti omosessuali sono “oggettivamente disordinati”. Ma ricorda anche che le persone omosessuali devono essere accolte con rispetto, compassione e delicatezza», dice Martin. «Questo viene spesso dimenticato. Più in profondità, dobbiamo ricordare che il cuore dell’insegnamento cristiano e cattolico non è un libro, ma una persona: Gesù Cristo. E nei Vangeli lo vediamo sempre rivolgersi a chi è ai margini. Questa pastorale di accoglienza è perfettamente in linea con il Vangelo».

Il fatto che Leone XIV sia il primo pontefice nato negli Stati Uniti porta inevitabilmente con sé una dimensione politica complessa. Nel cattolicesimo americano convivono infatti sensibilità molto diverse: da un lato comunità che si riconoscono nell’insegnamento sociale della Chiesa su giustizia, migranti e povertà; dall’altro gruppi che, negli ultimi anni, hanno appoggiato con convinzione il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, nonostante molte delle sue posizioni siano in contrasto con il magistero cattolico, soprattutto su accoglienza e tutela dei più deboli. «Naturalmente papi e vescovi evitano giustamente di entrare direttamente nelle situazioni politiche. Ma a volte annunciare il Vangelo può sembrare, a torto o a ragione, un atto politico», spiega padre Martin. «Ad esempio, il Vangelo ci chiede di prenderci cura dello straniero, cioè del migrante o del rifugiato. Dice anche che quando non ci prendiamo cura dei poveri, dei malati e degli affamati, non ci prendiamo cura di Gesù  (lo dice Matteo al capitolo venticinque). Proclamare questo può avere implicazioni politiche, ma il motivo per cui lo predichiamo non è perché siamo democratici o repubblicani, ma perché siamo cristiani».

Guardando al futuro, Martin individua opportunità e sfide per il pontificato di Prevost: «Continuare l’opera della sinodalità; continuare a favorire l’unità della Chiesa; e, dato che è un campo che conosco, continuare l’apertura verso le persone Lgbtq+. E invece di “rischi” parlerei di sfide. Anche queste sono tre: Gaza, l’Ucraina e il Sudan. Ognuna di queste situazioni, in cui si consuma tanta morte, richiederà al papa tutte le sue capacità di pastore e di leader».

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James Martin
Gesuita e scrittore statunitense, consultore del Segretariato per le Comunicazioni del Vaticano. è autore di “Building a Bridge: How the Catholic Church and the LGBT Community Can Enter into a Relationship of Respect, Compassion, and Sensitivity”.

 

Andrea Fioravanti
Giornalista a Linkiesta. Fondatore del programma radiofonico Europhonica, in passato ha lavorato a La Stampa e Rete 4 come autore televisivo. Organizza il Festival del Medioevo e il Festival dell’Umbria antica.