Il momento della verità per l'Europa

Gli Stati Uniti sembrano passare da alleati ad avversari, e i leader europei non hanno ancora un piano per affrontare questa nuova fase

David Keating
Tempo di lettura: 3'30"
Credit: SERHII LIAKHEVYCH/ALAMY

IL CONTESTO
Cosa succede se Stati Uniti ed Europa non condividono più gli stessi obiettivi? La lezione di Charles de Gaulle.

Per quasi ottant’anni l’Europa ha vissuto nella convinzione che la protezione americana fosse garantita per sempre. Con il Piano Marshall del 1948, che consolidò la supremazia economica, e con la Nato, che sancì quella militare, gli Stati Uniti permisero ai Paesi dell’Europa occidentale di ricostruirsi sotto il loro ombrello. Washington offrì non solo sicurezza, ma anche mercati, investimenti e una visione di ordine liberale. Il controllo esercitato dagli americani a Ovest non era così evidente come quello sovietico a Est, ma non era meno reale: la Guerra Fredda aveva reso l’Europa dipendente da entrambe le superpotenze.

Con la caduta del Muro di Berlino, il dominio sovietico sull’Est si sgretolò. Nel 1992 nacque l’Unione europea, con l’obiettivo di trasformare l’Europa in una potenza economica autonoma. Nessun passo, però, fu compiuto sul fronte militare: anzi, il protettorato americano si estese da Ovest a Est. Gli interventi statunitensi nei Balcani negli anni Novanta e le missioni congiunte in Iraq e Afghanistan rafforzarono l’idea che la supremazia americana fosse destinata a durare.

Per generazioni gli europei si sono abituati a questo equilibrio: agli Stati Uniti il compito di gestire la forza militare, all’Europa quello di occuparsi di diplomazia, welfare e integrazione economica. Solo un leader mise in dubbio che l’impegno americano fosse eterno: il presidente francese Charles de Gaulle. Avvertì dei rischi legati al crescente peso di Washington sull’Europa occidentale e della perdita di autonomia del continente. Per questo, negli anni Sessanta, decise di ritirare la Francia dal comando integrato della Nato, così da garantirsi una deterrenza militare autonoma, a differenza del Regno Unito. Per decenni De Gaulle fu deriso dall’establishment atlantista, che interpretò le sue posizioni come mero interesse nazionale o riflesso antiamericano. Ma oggi, nel 2025, appare chiaro che aveva visto giusto. E che l’élite atlantista, che ha guidato l’Europa finora, si era sbagliata.

Credit: VINCENZO DRAGANI/ALAMY

Gli europei hanno vissuto nella convinzione che la protezione americana fosse garantita per sempre. Solo Charles de Gaulle lo mise in dubbio

Un nuovo mondo

Un nuovo mondo - Credit: DPA PICTURE ALLIANCE/ALAMY

Già prima che iniziasse il secondo mandato di Trump a gennaio 2025, da tempo erano visibili segnali che i valori e le priorità strategiche di Stati Uniti ed Europa stavano divergendo. Washington si concentra sempre di più sull’Asia e sulle proprie polarizzazioni interne, mentre l’Europa resta preoccupata del proprio vicinato e della vulnerabilità energetica. Già quindici anni fa, l’amministrazione Obama aveva messo in guardia gli europei. Nel 2011 il segretario alla Difesa Bob Gates disse ai ministri della Difesa europei: «La dura realtà è che ci sarà sempre meno disponibilità e pazienza nel Congresso americano, e nell’opinione pubblica americana in generale, a spendere fondi sempre più preziosi a favore di nazioni che non vogliono destinare le risorse necessarie né fare i cambiamenti richiesti per essere partner seri e capaci nella propria difesa».

Anche sui valori la distanza è cresciuta: politica climatica, regolamentazione della tecnologia, approccio alla Cina, libertà di parola, democrazia e stato di diritto. La situazione interna americana è diventata sempre più violenta, come dimostrato dall’insurrezione del gennaio 2021. Per molti, gli Stati Uniti sembrano lanciati verso l’autoritarismo o addirittura verso una guerra civile. L’Europa ha i suoi problemi, con la crescita dell’estrema destra e il malcontento popolare, ma resta un’isola di stabilità se paragonata all’America. Il problema è che la dipendenza europea dagli Stati Uniti significa che questa stabilità potrebbe crollare rapidamente, se Washington scivolasse nel caos interno o diventasse addirittura un avversario militare. Se, come Trump ha suggerito in passato, gli Stati Uniti invadessero la Danimarca o si schierassero con Putin in un’aggressione russa all’Ue, l’Europa non avrebbe la capacità di reagire, e non esiste alcun piano di emergenza.

In uno scenario in cui gli Stati Uniti si disinteressano dell’Europa o diventano ostili, l’intera architettura strategica del continente andrebbe ripensata. Servirebbe una deterrenza militare credibile, che finora l’Europa ha sempre evitato. Vorrebbe dire mettere in comune risorse, investire nelle industrie della difesa, creare un “ombrello nucleare” europeo. Nonostante se ne parli dal 2022, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, non ci sono progressi reali verso questa autonomia strategica: i leader continuano a confidare solo nella Nato e a opporsi alla creazione di una capacità difensiva europea per paura di indebolire l’Alleanza.

Un distacco dagli Stati Uniti richiederebbe anche l’indipendenza energetica, attraverso rinnovabili, nucleare e nuove partnership. L’Europa dovrebbe accelerare il proprio ecosistema tecnologico, riducendo la dipendenza dai giganti digitali americani e dalle loro catene di fornitura. Dovrebbe inoltre contrastare il controllo americano sull’infrastruttura finanziaria globale: il dominio del dollaro concede a Washington un potere straordinario. L’Europa dovrebbe rafforzare l’euro, o uno strumento alternativo, come vera valuta di riserva mondiale.

L’Europa sceglie la sudditanza

L’Europa sceglie la sudditanza - Credit: ALAMY


Ma questa non è la strada che i leader europei hanno intrapreso. Al contrario, hanno abbassato la testa cercando di ingraziarsi Donald Trump, rafforzando il rapporto di vassallaggio che lega l’Europa all’America. A giugno hanno accettato l’obiettivo di destinare il 5 per cento del Pil alla spesa militare in ambito Nato, una cifra irrealistica che nemmeno gli Stati Uniti raggiungono. E poiché questa spesa resta sotto il comando americano della Nato e sarà usata soprattutto per acquistare armi statunitensi, non renderà l’Europa più autonoma.

Poi è arrivato l’accordo commerciale sbilanciato con Trump, una resa alle sue pressioni sui dazi. L’intesa è stata fatta per evitare una guerra commerciale e per mantenere gli Stati Uniti impegnati nella Nato e in Ucraina, come ha ammesso Sabine Weyand, direttrice generale del commercio della Commissione europea, in agosto in Austria: se l’Ue non avesse ceduto, gli Stati Uniti avrebbero «abbandonato la partnership di sicurezza con l’Europa», aggiungendo che oggi il mondo è «più basato sul potere che sulle regole».

La scorsa estate gli europei hanno dovuto assistere all’umiliante spettacolo dei propri leader che chiamavano Trump «daddy» e si mettevano in fila davanti alla sua scrivania nello Studio Ovale, supplicandolo di non accordarsi con Putin per costringere Kyjiv a cedere territori. «Quando Trump è tornato alla Casa Bianca, i leader europei sono sembrati incapaci di capire come trattarlo», ha scritto il Financial Times. «La loro scelta strategica ora è evidente: assecondarlo anziché confrontarsi, il tutto accompagnato dalla retorica adulatrice che esalta Trump come uomo di pace e grande negoziatore. La domanda è se la perdita di dignità valga la pena. Queste scelte hanno già un costo: l’Europa ha bruciato il capitale politico che avrebbe potuto usare per guidare una coalizione a difesa del commercio basato sulle regole e contro gli eccessi di Trump».

Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea ed ex premier italiano, ha criticato duramente questo approccio. In un discorso a Rimini, a fine agosto, ha parlato di «un risveglio molto brutale» per l’Europa. «Per anni l’Ue ha creduto che la sua forza economica, con 450 milioni di consumatori, si traducesse automaticamente in potere geopolitico e influenza. Quest’anno verrà ricordato come quello in cui questa illusione è svanita».

NUMERI

5%

del Pil: è la spesa militare decisa nel vertice Nato.

€800mld

Le risorse da mobilitare con il piano ReArm Europe.

19%

Aumento della spesa degli Stati Ue in difesa tra 2023 e 2024.

L’Europa sceglie la sudditanza - Credit: DANIEL TOROK/ALAMY

Il costo dell’inazione

Se l’Europa non cambia in tempo, le conseguenze potrebbero essere destabilizzanti. Gli Stati dell’Est potrebbero restare indifesi di fronte all’influenza o all’aggressione russa. Tariffe, sanzioni e catene di fornitura dominate dagli Stati Uniti potrebbero soffocare le industrie europee. Senza un protettore esterno, le divisioni interne all’Ue rischierebbero di ampliarsi, alimentando nazionalismi e separatismi. Nessuno può sapere se la pace e l’unità godute finora sopravviverebbero alla fine del protettorato americano. Lo scenario peggiore sarebbe un ritorno a un continente frammentato e insicuro, come nei due conflitti mondiali del Novecento.

Per i cittadini, la rottura del legame transatlantico non sarebbe un fatto astratto: si tradurrebbe in bollette più care, shock energetici, guerre commerciali e nuove spese militari. Viaggi, visti e servizi digitali legati agli Stati Uniti potrebbero diventare più costosi o limitati. Persino media, intrattenimento e università – da decenni fortemente influenzati dagli Stati Uniti – potrebbero frammentarsi, accelerando la ricerca di un’identità culturale europea distinta.

Secondo Alberto Alemanno, docente e Democracy Fellow ad Harvard, i cittadini europei sono consapevoli dei rischi, ma i loro leader restano paralizzati. «Da Helsinki a Lisbona, la gente percepisce la stessa inquietudine esistenziale», ha scritto su The Guardian. «Sempre più europei riconoscono che i loro piccoli Stati nazionali non possono resistere da soli alle pressioni simultanee di Washington e Mosca». Anche per questo il sostegno all’Ue è al massimo storico: secondo l’ultimo Eurobarometro, è al 74 per cento. «È un’occasione storica. Eppure, i leader restano incapaci – o non disposti – a trasformare questo consenso e questa urgenza in un progetto politico di autonomia».

Il costo dell’inazione - Credit: MAURITIUS IMAGES GMBH/ALAMY

Due strade

Gli europei ora devono scegliere come rispondere alla minaccia americana. Finora i leader hanno scelto di placare Trump, calcolando che lo scontro costerebbe troppo. Alcuni interpretano questa strategia come un modo per “comprare tempo”: cedere oggi per guadagnare spazio di manovra domani. Le loro parole sembrano andare in questa direzione. La premier italiana Giorgia Meloni ha avvertito che l’Ue «rischia l’irrilevanza geopolitica» e che «tornare protagonisti della storia non sarà facile né gratuito». Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha parlato della necessità urgente di «indipendenza dagli Stati Uniti». Ursula von der Leyen ha detto ad aprile che «l’Occidente come lo conoscevamo non esiste più».

Ma alle parole non sono seguiti fatti: nessuna reale costruzione di una difesa europea, nessuna riduzione del dominio del dollaro, nessun tentativo di riequilibrare il rapporto con Washington. Anzi, la presidente della Commissione ha escluso esplicitamente una strategia di “de-risking” verso gli Stati Uniti, come quella adottata verso la Cina. Nell’accordo con Trump ha perfino promesso di modificare quattro leggi europee – tre sul clima e una sulla sicurezza dei veicoli – per compiacere Washington. Anche se non verranno cambiate, il solo averlo promesso significa aver concesso a Trump un diritto di veto sulla legislazione europea.

I difensori di questa linea dicono che si tratta solo di promesse a vuoto, fatte per prendere tempo. Ma questa strada dell’accomodamento è piena di rischi. E infatti non sembra funzionare: poche settimane dopo l’accordo, Trump minacciava già nuove tariffe se l’Ue non avesse adeguato le leggi digitali ai suoi interessi. Come ha scritto il Financial Times, «l’Europa sta rischiando la propria anima politica: i leader non possono più dire pubblicamente ciò che stanno davvero cercando di fare. È una ricetta per la sfiducia e un veleno per la democrazia».

L’altra strada sarebbe affrontare Trump di petto, rivendicando che l’Europa è un mercato unico pari agli Stati Uniti e va trattata come tale. Anche questa opzione comporta rischi: Trump potrebbe abbandonare l’Ucraina, uscire dalla Nato o scatenare una guerra commerciale. Ma guardando a Cina, India e Brasile – che non hanno ceduto a Trump e non ne hanno subito conseguenze devastanti – forse il presidente americano è più una minaccia apparente che un pericolo reale.

Alla fine, lo shock di una guerra commerciale totale potrebbe essere l’unico scossone capace di spingere l’Europa all’azione. Perché, nonostante i discorsi sul “guadagnare tempo”, dietro le quinte non si muove nulla. Continuare su questa via significa restare vassalli, adattando leggi e politiche alle richieste americane in cambio di una protezione che potrebbe rivelarsi illusoria. Anche obbedendo in tutto e per tutto, Trump potrebbe comunque abbandonare l’Europa in caso di aggressione russa.

Come ha detto Meloni, la strada verso una vera sovranità europea non sarà facile, né indolore, né gratuita. Ed è per questo che i leader non l’hanno ancora imboccata. Ma gli europei devono avviare una discussione onesta sul futuro che vogliono: mantenere lo status quo non è più un’opzione.

Due strade

David Keating
Giornalista americano. Oggi è corrispondente da Bruxelles di France 24. È stato direttore di EuropeanVoice.com. Nel 2023, si è aggiudicato il primo posto tra gli influencer sui temi europei.