Come costruire l’indipendenza europea in un mondo che cambia

L’Unione Europea è a un bivio e deve trovare la capacità di adattarsi per garantire la propria sicurezza, alimentare le proprie economie e innovarsi tecnologicamente

Catherine E. de Vries
Tempo di lettura: 3'30"
Credit: ROBERT METSCH

IL CONTESTO
L’articolo analizza le sfide europee per l’indipendenza nella difesa, tecnologia ed economia, avanzando alcune proposte.

Dall’Interdipendenza all’Incertezza

Per decenni, il progetto europeo ha prosperato sulla promessa dell’interdipendenza. La sicurezza era garantita dalla Nato e, soprattutto, dal partenariato transatlantico con gli Stati Uniti. L’innovazione tecnologica veniva importata, adattata e regolamentata, anziché prodotta internamente. L’energia veniva fornita da importazioni relativamente economiche dalla Russia e dal Medio Oriente. Questo modello ha permesso ai governi europei di mettere in comune la sovranità all’interno dell’Ue, garantire stabilità e prosperità in patria e posizionare l’Europa come «potenza normativa» nella politica mondiale.

Oggi, questo modello è messo a dura prova. La guerra della Russia contro l’Ucraina, l’intensificarsi della competizione geopolitica tra Stati Uniti e Cina, la militarizzazione dei flussi energetici e tecnologie dirompenti come l’intelligenza artificiale e l’informatica quantistica mettono a nudo le vulnerabilità dell’Europa. Mario Draghi, nel discorso al meeting di Comunione e liberazione di Rimini, ha sottolineato come l’Europa si trovi di fronte all’urgente necessità di passare dall’autocompiacimento all’azione, dal dare per scontato che altri forniranno i loro servizi al dotarsi degli strumenti per agire.

In seguito, sosterrò che la sfida dell’Europa non è l’indipendenza in senso assoluto – nessuna economia avanzata può essere completamente autosufficiente – ma l’indipendenza nel senso di resilienza: la capacità di adattarsi, di garantire la propria sicurezza, di alimentare le proprie economie e di innovarsi tecnologicamente senza dipendere indebitamente da attori che potrebbero non condividere i suoi interessi. Per raggiungere questo obiettivo, l’Europa ha a disposizione gli strumenti, ma il loro utilizzo richiede coraggio politico, adattamento istituzionale e, soprattutto, una leadership in grado di concepire l’indipendenza come un progetto europeo comune piuttosto che come una competizione nazionale a somma zero.

Una nuova idea di sicurezza

La sicurezza europea è stata a lungo protetta dalla garanzia americana. Gli Stati Uniti hanno fornito la maggior parte delle capacità della Nato, dall’intelligence e dalla logistica alla deterrenza nucleare. Ma con la crescente polarizzazione della politica americana e con la crescente attenzione di Washington alla rivalità con la Cina, gli europei non possono più dare per scontato che la loro sicurezza rimarrà sempre la massima priorità di Washington. La prospettiva di un’amministrazione statunitense meno impegnata nella Nato rispetto al passato lo rende chiaro.

Questo contesto mutevole non deve essere interpretato come un invito a dissociarsi dagli Stati Uniti. Al contrario, la Nato rimane indispensabile e la potenza americana continua a sostenere la difesa europea. Ma l’Europa deve essere in grado di fare le proprie scelte. Ciò significa investire più seriamente nelle capacità di difesa, nella prontezza e negli appalti condivisi. Attualmente, i mercati europei della difesa rimangono frammentati, con 27 diversi sistemi e strategie di approvvigionamento. Mettere in comune la domanda, attraverso il Fondo europeo per la difesa e le iniziative coordinate della Nato, non solo garantirebbe efficienza, ma aumenterebbe anche la credibilità.

Una nuova idea di sicurezza - Credit: BORIS ROESSLER/ALAMY

L’Ue possiede già strumenti: il quadro di Cooperazione strutturata permanente (Pesco), il Fondo europeo per la pace che sostiene le forniture di armi all’Ucraina e il nascente dibattito sui prestiti congiunti per la difesa. Tuttavia, l’entità degli investimenti necessari richiede più di un modesto coordinamento; richiede una leadership disposta a dire agli elettori che la spesa per la difesa non è una distrazione dalle priorità sociali, ma una precondizione per proteggerle. In questo caso, il cambiamento di politica statunitense rappresenta paradossalmente un’opportunità: proprio perché l’impegno americano non può più essere assunto, l’opinione pubblica e i leader europei sono più aperti all’idea che l’Europa debba fare di più per la propria difesa.

Dalla regolamentazione all’innovazione tecnologica

L’Europa è giustamente orgogliosa di essere una superpotenza normativa. Dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) all’Ai Act, le norme dell’Ue plasmano non solo i mercati europei, ma anche quelli globali. Tuttavia, una regolamentazione senza innovazione rischia di lasciare l’Europa dipendente dalle tecnologie altrui.

Oggi, la maggior parte delle piattaforme digitali all’avanguardia è americana, mentre la Cina sta rapidamente recuperando terreno in settori critici come l’intelligenza artificiale e la tecnologia quantistica. L’Europa eccelle nella ricerca scientifica e vanta università e ricercatori di livello mondiale, ma fatica a tradurre queste conoscenze in tecnologie scalabili. I mercati del capitale di rischio sono frammentati, le startup spesso si trasferiscono all’estero quando hanno bisogno di crescere e il mercato unico dell’Ue rimane incompleto in settori chiave, in particolare nei servizi.

Gli strumenti per affrontare questo problema esistono. Horizon Europe fornisce finanziamenti significativi per la ricerca e l’innovazione. Il Consiglio europeo per l’innovazione è progettato per scalare tecnologie promettenti. Il Chips Act dell’Ue mira a proteggere le catene di approvvigionamento dei semiconduttori, mentre le iniziative sul cloud computing e sulle infrastrutture digitali mirano a ridurre la dipendenza. Ma mancano scalabilità e velocità.

Il discorso di Draghi a Rimini ha evidenziato la necessità di un balzo in avanti nella capacità di investimento europea, paragonabile a quella rappresentata dall’Inflation Reduction Act statunitense e dalle strategie industriali cinesi. Ciò implica la mobilitazione non solo dei fondi Ue, ma anche dei capitali privati, il che a sua volta richiede una più profonda integrazione dei mercati dei capitali europei.

L’indipendenza tecnologica non significa che l’Europa debba replicare tutto ciò che producono gli Stati Uniti o la Cina. Significa però sviluppare capacità sovrane in settori chiave in cui la dipendenza potrebbe rivelarsi pericolosa: semiconduttori, intelligenza artificiale, tecnologie verdi e sicurezza informatica. In questo caso, la cooperazione transfrontaliera è indispensabile. Nessun singolo Paese europeo può competere da solo. Un mercato unico digitale realmente integrato e una politica industriale coordinata sono prerequisiti per l’indipendenza tecnologica dell’Europa. E anche questo richiede leadership: non la tentazione di nazionalizzare i successi, ma la volontà di europeizzarli.

Il discorso di Mario Draghi a Rimini ha evidenziato la necessità di un balzo in avanti nella capacità di investimento europea

Dalla dipendenza alla diversificazione energetica

Dalla dipendenza alla diversificazione energetica - Credit: ROBERT METSCH


Forse nessun settore illustra la vulnerabilità dell’Europa in modo più evidente dell’energia. Prima dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, circa il 40 per cento del gas naturale dell’Ue proveniva dalla Russia. Quando Mosca ha trasformato questi flussi in un’arma, gli europei hanno dovuto affrontare prezzi alle stelle, pressioni inflazionistiche e malcontento politico. La rapida diversificazione verso le importazioni di Gnl dagli Stati Uniti e dal Qatar, il gasdotto dalla Norvegia e l’accelerazione delle energie rinnovabili hanno contribuito a evitare gli scenari peggiori. Ma la lezione è chiara: l’eccessiva dipendenza da un singolo fornitore può rapidamente trasformarsi in una responsabilità strategica.

L’indipendenza energetica, ancora una volta, non riguarda l’autarchia, ma la diversificazione e la decarbonizzazione. Il Green Deal europeo fornisce il quadro per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e aumentare le energie rinnovabili. RepowerEu ha mobilitato acquisti e investimenti congiunti per garantire alternative. 

Tuttavia, permangono dei colli di bottiglia: insufficiente interconnessione delle reti, lentezza nel rilascio dei permessi per le energie rinnovabili e distribuzione non uniforme dei costi di transizione tra Stati membri e famiglie.

Gli strumenti sono sul tavolo: i fondi NextGenerationEu a sostegno degli investimenti verdi, il Fondo per l’innovazione per le tecnologie pulite e il Sistema di scambio di quote di emissione che fornisce entrate per un’ulteriore decarbonizzazione.

La questione è se l’Europa possa accelerare l’attuazione e garantire l’equità. Se i cittadini associano la transizione verde all’aumento dei costi e al calo della competitività, il sostegno si eroderà. Anche in questo caso, la leadership è fondamentale. I leader devono elaborare una narrazione che poggi sull’equità: la transizione non riguarda solo la responsabilità planetaria, ma anche bollette energetiche più economiche, nuovi posti di lavoro e una maggiore resilienza.

Rischi e opportunità

Che si tratti di polarizzazione politica o di una svolta strategica verso l’Asia, la politica americana sta cambiando. Per l’Europa, questo è fonte di rischio: le garanzie di sicurezza potrebbero indebolirsi, le controversie commerciali potrebbero aumentare e la concorrenza industriale potrebbe intensificarsi. Ma è anche una fonte di opportunità. Proprio perché gli Stati Uniti sono meno in grado o disposti a farsi carico degli oneri dell’Europa, gli europei hanno sia la necessità che la legittimità per fare di più da soli.

In termini di sicurezza, ciò significa sviluppare capacità complementari alla Nato. In termini di tecnologia, significa non solo regolamentare le piattaforme statunitensi, ma anche promuovere i campioni europei.

Rischi e opportunità - Credit: PHILIPP VON DITFURTH/ALAMY

In termini di energia, significa investire in energie rinnovabili e reti piuttosto che spostare la dipendenza dalla Russia al Gnl americano. E in termini di geopolitica, significa interagire con i partner in Africa, America Latina e Asia a condizioni che riflettano gli interessi e i valori europei.

L’Ue ha una comprovata esperienza nel progredire nelle crisi: l’euro dopo la crisi finanziaria, l’indebitamento comune dopo la pandemia, la diversificazione energetica dopo l’Ucraina. La domanda è se riuscirà ancora una volta a trasformare la vulnerabilità in slancio. Ciò richiede non solo strumenti, ma anche una leadership in grado di cogliere una finestra di opportunità e di articolare un obiettivo comune per i cittadini europei.

L'APPROFONDIMENTO

Le parole di Draghi

Il 22 agosto 2025, in occasione del Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, Draghi ha esortato i leader europei: «Possiamo cambiare la traiettoria del nostro continente. Trasformate il vostro scetticismo in azione, fate sentire la vostra voce. L’Unione europea è soprattutto un meccanismo per raggiungere gli obiettivi condivisi dai suoi cittadini. È la nostra migliore opportunità per un futuro di pace, sicurezza, indipendenza».

Dal potenziale alla pratica

Riassumendo, l’Europa ha almeno cinque strumenti a sua disposizione:

  1. Finanziamento congiunto: dagli Eurobond ai potenziali prestiti per la difesa, che garantiscono scalabilità e solidarietà.
  2. Integrazione dei mercati: completare il mercato unico nei settori dei servizi, dell’energia e del digitale per consentire la scalabilità.
  3. Politica industriale: sostegno mirato ai settori chiave, dai semiconduttori alle tecnologie verdi.
  4. Potere normativo: definire standard che allineino l’innovazione ai valori europei.
  5. Partnership esterne: diversificare fornitori e alleati oltre il quadro transatlantico.

Ciò che manca non è il kit di strumenti, ma la leadership per impiegarlo strategicamente, per dare priorità alla resilienza a lungo termine rispetto al comfort elettorale a breve termine. Leadership significa fare delle scelte: dove investire, cosa sacrificare e come spiegare queste decisioni ai cittadini. Senza questo, anche gli strumenti meglio progettati rimarranno sottoutilizzati.

Indipendenza come resilienza

Il futuro dell’Europa non sarà scritto dalla nostalgia per i modelli di interdipendenza del passato. Sarà plasmato dalla capacità degli europei di forgiare una forma di indipendenza che non sia né isolazionista né compiacente, ma resiliente. Sicurezza, tecnologia ed energia sono gli ambiti in cui questa resilienza deve essere costruita. Il passaggio degli Stati Uniti da garante a partner rende questo processo urgente, ma anche possibile.

La sfida è ardua. Eppure l’Europa ha le risorse, gli strumenti e l’eredità dell’innovazione sotto pressione. Ciò di cui ha bisogno è una leadership: leader disposti a dire verità scomode, a mobilitare l’opinione pubblica per obiettivi a lungo termine e ad agire con decisione quando le crisi lo richiedono.

Indipendenza nel ventunesimo secolo non significa restare soli. Significa essere in grado di stare saldamente al fianco degli alleati, pur mantenendo la capacità di agire quando gli altri non lo fanno. Per realizzare questa visione sarà necessaria una leadership che unisca i cittadini attorno a un obiettivo comune, che abbia il coraggio di correre rischi e sia disposta a spiegare che la forza dell’Europa risiede nel fare insieme le cose difficili. Questa è l’essenza della sovranità, ed è il compito dell’Europa per il prossimo decennio.

 

Indipendenza come resilienza

Catherine E. de Vries
Politologa olandese, è docente di Scienze politiche e presidente del dipartimento di politica e relazioni internazionali all’Università IE di Madrid. È stata a lungo docente all’Università Bocconi di Milano.