Impegnarsi per un mondo di bellezza, diversità e meraviglia
Lo scrittore David Quammen racconta le similitudini tra il negazionismo del Covid e il negazionismo climatico. Il rischio è quello di avere un futuro più «noioso», a biodiversità ridotta. Un approccio multidisciplinare sarà il segreto per proteggere l’ambiente e la salute pubblica
Illustrazioni di The Archives and Special Collections Department of Dickinson College
Camaleonte
“OUR LIVING WORLD,” A NATURAL HISTORY. DI REV. J. G. WOOD. RIVISTA E ADATTATA PER LA ZOOLOGIA AMERICANA DA JOSEPH B. HOLDER. VOL.V NEW YORK: SELMAR HESS, 1898.
IL CONTESTO
Quammen spiega come divulgazione scientifica e informazione siano centrali per mitigare i disastri ambientali.
A settantasette anni, dopo aver viaggiato instancabilmente per lavoro e per piacere, David Quammen è giunto a una conclusione amara: stiamo trasformando la Terra in un posto più brutto, monotono e pericoloso rispetto alla «versione che abbiamo ereditato dai nostri antenati». La colpa, secondo lo scrittore e divulgatore statunitense, è di un crollo generalizzato della ricchezza (intesa però come varietà, eterogeneità) determinato da due crisi interconnesse: il cambiamento climatico e la perdita della biodiversità animale, vegetale e non solo.
Quammen è conosciuto al grande pubblico per i suoi contributi sulle zoonosi, le malattie causate da virus trasmessi dagli animali all’uomo. Questo “spillover”, che è anche il titolo del suo saggio più famoso, sarà sempre più probabile a causa del deterioramento delle risorse naturali e di una vasta gamma di comportamenti che l’umanità non sembra disposta ad abbandonare.
Per invertire la rotta, ci spiega il saggista classe 1948, bisogna avere pazienza e ripartire dall’educazione: «Dobbiamo insegnare ai bambini che scienza, letteratura, musica, arte e tecnologia sono tutte sfaccettature della cosa più bella che gli esseri umani hanno regalato a questo mondo: la cultura». Solo così potremo recuperare la bellezza e la meraviglia che stiamo inesorabilmente smarrendo, rendendo – al contempo – la Terra un pianeta più sicuro.
È corretto dire che con “Spillover” (2012) lei abbia “predetto” il Covid? Questa espressione viene spesso usata per descrivere il suo lavoro, ma rischia di sminuire il valore scientifico del libro. La scienza non ha la sfera di cristallo, ma si basa sui dati e sul rigore per analizzare la realtà e comprenderne le possibili traiettorie.
È d’accordo?
Sì, dire che io abbia “predetto” la pandemia di Covid mi attribuisce troppo merito per doti di preveggenza, e forse non abbastanza per la mia attenzione nel dare ascolto agli esperti. Per chi studia i virus emergenti non c’era nulla di sorprendente nel fatto che la prima grande pandemia del ventunesimo secolo fosse causata da un nuovo Coronavirus, probabilmente emerso da un pipistrello, poi passato attraverso un animale selvatico venduto vivo per ragioni alimentari in un affollato mercato cinese, e da lì trasmesso all’uomo: uno spillover, appunto. Alcuni scienziati che intervistai tra il 2007 e il 2010 mi dissero, in forme e dettagli diversi, che uno scenario del genere era altamente probabile, considerata la natura dei virus a Rna e i comportamenti umani (inclusa la cattura e la vendita di fauna selvatica per il consumo) che offrono ai patogeni l’opportunità di passare all’uomo.
Papio Leucophaeus
“THE NATURAL HISTORY OF MONKEYS”. ILLUSTRATED BY THIRTY-ONE PLATES, NUMEROUS WOOD-CUTS, AND A PORTRAIT AND MEMOIR OF BUFFON, DI SIR WILLIAM JARDINE, BART. EDINBURGH: W.H. LIZARS, AND STIRLING, AND KENNEY [ETC.], 1833.
Anche a livello giornalistico si utilizza sempre più spesso il termine “Pandemicene”. È questa la direzione verso cui stiamo andando?
Non mi piace il termine “Pandemicene” perché mi sembra un tentativo trendy di offrire una prospettiva pseudo-paleontologica su un aspetto sì molto importante, ma non l’unico, della storia e dell’ecologia terrestre attuali. Il termine “Antropocene” sembra ormai consolidato, e adesso qualcuno vuole superarlo con un altro? Non abbiamo bisogno di questo neologismo che cerca di essere brillante per allertare le persone sui pericoli dei virus emergenti e di altre minacce pandemiche.
L'APPROFONDIMENTO
Spillover
Lo spillover, o salto di specie, è un processo naturale per cui un patogeno degli animali evolve e diventa in grado di infettare la specie umana. I virus, mutando i geni, possono acquisire nuove capacità, tra cui riconoscere le cellule umane e replicarsi. Questo accade più frequentemente nei virus a Rna, come i coronavirus, che in media possono acquisire più facilmente la capacità di infettare le cellule umane. Il salto di specie avviene a seguito di un contatto prolungato tra uomo e animale portatore del patogeno.
Pesce spada
“OUR LIVING WORLD,” A NATURAL HISTORY. DI REV. J. G. WOOD. REVISED AND ADAPTED TO AMERICAN ZOOLOGY BY JOSEPH B. HOLDER. VOL.V NEW YORK: SELMAR HESS, 1898.
Hapales Jacchus
“THE NATURAL HISTORY OF MONKEYS”. ILLUSTRATED BY THIRTY-ONE PLATES, NUMEROUS WOOD-CUTS, AND A PORTRAIT AND MEMOIR OF BUFFON, BY SIR WILLIAM JARDINE, BART. EDINBURGH: W.H. LIZARS, AND STIRLING, AND KENNEY [ETC.], 1833.
Come si è evoluto il negazionismo climatico negli anni?
Il negazionismo climatico esiste da quando gli scienziati hanno iniziato a lanciare avvertimenti (dalla fine degli anni Settanta) su quello che allora veniva definito “effetto serra” e che oggi chiamiamo cambiamento climatico. Le persone hanno resistito a quegli avvertimenti per tre ragioni. La prima è che non comprendevano fino in fondo la scienza. La seconda è che era scomodo per la gente comune ammettere che le nostre azioni individuali hanno impatti dannosi sulla Terra. La terza è che le aziende fossili e altre industrie inquinanti erano (e sono, ndr) consapevoli che le misure di mitigazione climatica avrebbero ridotto il loro fatturato. Negli ultimi anni il negazionismo climatico è peggiorato perché cavalca l’onda di una più ampia tendenza al negazionismo scientifico, alimentata da opportunismo politico e deliberata ignoranza pubblica.
Quali sono le similitudini tra il negazionismo del Covid e quello del cambiamento climatico?
Confusione, pigrizia, indifferenza, paura della sfida intellettuale, polarizzazione politica, menzogne e opportunismo da parte di leader politici ed economici. Inoltre, noto l’assenza di un’educazione scientifica adeguata e coinvolgente rivolta ai giovani dai dieci anni in su.
Pensa che una strategia comunicativa “solution-oriented” possa aiutare le persone a comprendere meglio l’urgenza delle crisi del clima e della biodiversità?
Non necessariamente. Il rischio è quello di trascurare un fatto essenziale: spiegare le cause e i meccanismi del cambiamento climatico è importante tanto quanto la presentazione delle soluzioni. La differenza tra questi approcci sta nell’universalità e nella diffusione dei problemi (la crisi del clima e della biodiversità, ndr). Al contrario, molte soluzioni si applicano a livello locale.
Quali sono i fattori chiave per migliorare la collaborazione tra scienziati e giornalisti? Durante la pandemia questa forma di cooperazione è stata spesso fallimentare, contribuendo alla diffusione di un certo scetticismo verso soluzioni scientificamente condivise.
Gli scienziati devono spiegare al pubblico non solo cosa dice la scienza, ma anche cos’è la scienza, come funziona, come si evolve, come corregge rapidamente i propri errori. Questo salto di qualità è possibile grazie a un aumento dei fondi rivolti alla ricerca. Il pubblico, dall’altra parte, deve lavorare per essere più curioso. Insegnanti ed educatori, con il supporto dei genitori, devono educare i bambini alla scienza fin da piccoli. Poi ci siamo noi, i giornalisti e i divulgatori, che dobbiamo impegnarci a colmare ciò che resta nel margine che separa gli scienziati dal pubblico.
Gli scienziati devono spiegare non solo cosa dice la scienza, ma anche cos’è, come funziona e come corregge i propri errori. Ma servono più fondi per la ricerca
Anaconda
“OUR LIVING WORLD,” A NATURAL HISTORY BY REV. J. G. WOOD. REVISED AND ADAPTED TO AMERICAN ZOOLOGY BY JOSEPH B. HOLDER. VOL.V NEW YORK: SELMAR HESS, 1898.
Tartaruga indiana
“OUR LIVING WORLD,” A NATURAL HISTORY BY REV. J. G. WOOD. REVISED AND ADAPTED TO AMERICAN ZOOLOGY BY JOSEPH B. HOLDER. VOL.V NEW YORK: SELMAR HESS, 1898.
Quali aspetti della perdita di biodiversità ci espongono di più alla nascita
e alla diffusione di nuove epidemie?
La crisi della biodiversità non riguarda solo l’estinzione delle specie, ma anche il trasferimento di alcune specie – quelle che nel mio saggio del 1998 “Planet of Weeds” ho definito «infestanti» – dai loro areali originari verso altri luoghi, altri ecosistemi. Mi riferisco al problema delle specie invasive che modificano il proprio areale di distribuzione, soprattutto con l’aiuto consapevole o involontario delle azioni umane.
Per esempio?
Il cambiamento climatico consente a specie tropicali di zanzare, zecche e altri artropodi – che fungono da “vettori” di malattie pericolose per gli umani – di espandere i propri areali geografici verso i poli, dunque fuori dai tropici e dentro le regioni subtropicali caratterizzate da climi temperati. Questo processo avviene man mano che le temperature aumentano. Il ritorno della febbre gialla e della malaria in alcune parti d’Italia è una delle conseguenze dirette.
A questo proposito, oggi qual è il virus con il più alto potenziale pandemico? E come può una maggiore protezione della biodiversità ridurre il rischio della sua diffusione?
Il principale candidato per la prossima pandemia è il virus dell’influenza aviaria H5N1. Per essere precisi, l’attenzione è rivolta sulla sua versione che contiene la componente genetica H5, possibilmente combinata con un altro virus influenzale portatore di un diverso segmento N. Ceppi di questo virus sono ora presenti negli uccelli selvatici di tutto il mondo, nel pollame domestico e nelle vacche da latte negli Stati Uniti, e si manifestano a intermittenza infettando individui di molte altre specie di mammiferi. Probabilmente basteranno poche mutazioni, in una variante, per trasformare quel virus in un killer pandemico per l’uomo. I ceppi di quel patogeno stanno attualmente mutando a una velocità notevole negli “ospiti animali” che ho appena citato. La ruota della roulette gira: più gira, più è probabile che la pallina finisca sull’influenza aviaria pandemica. Le misure di protezione della biodiversità che tutelano la complessità ecologica – al posto della continua distruzione di ecosistemi altamente diversificati per lo sfruttamento delle risorse – ridurranno in generale la minaccia di spillover, focolai ed epidemie.
In un’intervista lei ha detto che «stiamo andando verso un pianeta più noioso». Perché?
Sì, ho detto che stiamo – a causa delle perdite catastrofiche di diversità biologica – andando verso un pianeta più noioso, solitario e brutto di quello che abbiamo ereditato dai nostri antenati. Immaginate la Terra del futuro, magari nel 2035, con dieci miliardi di abitanti in salute e ben nutriti anche grazie alle meraviglie tecnologiche. Ora immaginate quella Terra senza gorilla, senza orsi polari, rinoceronti, elefanti, giraffe, falene giganti, colibrì, bucerotidi, aquile, gru americane, lupi, orsi. Tutti questi animali, in natura, rischiano di non esistere più. Rimarrebbero solo in cattività, negli zoo, come dei patetici ricordi del passato. Ecco, tutto ciò secondo me è noioso, triste. Se questo è il futuro, sono contento di non viverlo in prima persona. Ma non sono rassegnato, perché è proprio quel futuro che dobbiamo combattere. Dobbiamo dire «no», e agire su quel «no». Vogliamo bellezza, diversità e meraviglia, non solo sopravvivenza.
Crede che un approccio multidisciplinare possa essere uno strumento efficace per mitigare la crisi climatica e proteggere la salute pubblica dalle future minacce virali?
Sì, ma a partire dall’infanzia. Bisogna insegnare ai bambini – o meglio, permettere loro di scoprire – che scienza, letteratura, musica, arte e tecnologia sono tutte sfaccettature dell’unica vera, bellissima cosa che gli esseri umani hanno dato a questo pianeta: la cultura.
C’è un viaggio che non ha ancora fatto ma che considera essenziale per arricchire il suo patrimonio di conoscenze?
Non sono ancora stato in Antartide, nel Rajasthan o ad Assisi.
Callithrix Sciureus
“THE NATURAL HISTORY OF MONKEYS”. ILLUSTRATED BY THIRTY-ONE PLATES, NUMEROUS WOOD-CUTS, AND A PORTRAIT AND MEMOIR OF BUFFON, BY SIR WILLIAM JARDINE, BART. EDINBURGH: W.H. LIZARS, AND STIRLING, AND KENNEY [ETC.], 1833.
Giraffa
“OUR LIVING WORLD,” A NATURAL HISTORY BY REV. J. G. WOOD. REVISED AND ADAPTED TO AMERICAN ZOOLOGY BY JOSEPH B. HOLDER. VOL.II. NEW YORK: SELMAR HESS, 1898.
David Quammen
Scrittore e divulgatore scientifico statunitense. Ha scritto per National Geographic, Harper’s, Rolling Stone e New York Times. È autore di numerosi saggi, tra cui il bestseller internazionale “Spillover”.
Fabrizio Fasanella
Giornalista a Linkiesta. Si occupa principalmente di temi urbani, clima, ambiente e mobilità. Ha lavorato nelle redazioni di Torcha e The Good Life Italia e collaborato con QN, Fondazione Feltrinelli e Panorama.