Una ragazza degli anni '40

Paola Ricca da Generali Italia
Ti ho resa felice quel giorno, il nuovo progetto, il nuovo lavoro, era anche il tuo grande desiderio che si realizzava. Tu, figlia nata durante la guerra, in un paese piccolo della provincia italiana, non avevi potuto studiare, non te lo avevano permesso. Le scuole superiori, non erano cosa per una ragazza per bene, non serviva studiare, il destino, il futuro di una ragazza degli anni ’40 non lo prevedeva.

Il dolore te lo sei portata sempre dentro, un senso di inadeguatezza, ma soprattutto di profonda ingiustizia. Le ali tarpate solo perché donna, con l’aggravante di essere bella.

Poi è arrivato il matrimonio, le figlie, sembrava che quasi non importasse più, come se andasse bene così.

Mentre crescevo il tuo messaggio è passato sempre, forte, chiaro, senza bisogno di troppe parole. Il futuro per le tue figlie sarebbe stato studiare e lavorare, anche una famiglia, certo, ma prima costruire se stesse, trovare la propria strada, la propria autonomia e la propria indipendenza.

I cambiamenti passano per i grandi movimenti, per le rivoluzioni, ma anche per il lavoro di educazione che la tua generazione ha fatto per la nostra affinché noi la trasmettessimo alle nostre figlie, perché nessuno mai più potesse decidere per loro la lunghezza di una gonna, l’altezza di un tacco, gli studi e le aspirazioni e potessero essere ciò che desideravano, pittrici o astronaute, assecondando la loro indole.

Così quando risposi a quell’annuncio sul giornale, quando poco dopo la laurea cominciai a lavorare per una grande Compagnia, non è stato soltanto il raggiungimento di un mio traguardo, ma anche del tuo, il compimento di un sogno, che ripara anche l’ingiustizia profonda che hai subito tu, bellissima e intelligentissima ragazza degli anni ’40.

Non hai fatto in tempo a vederlo, ma tua nipote sta studiando per diventare ingegnere.

Grazie mamma.

Una ragazza degli anni '40

Ti ho resa felice quel giorno, il nuovo progetto, il nuovo lavoro, era anche il tuo grande desiderio che si realizzava. Tu, figlia nata durante la guerra, in un paese piccolo della provincia italiana, non avevi potuto studiare, non te lo avevano permesso. Le scuole superiori, non erano cosa per una ragazza per bene, non serviva studiare, il destino, il futuro di una ragazza degli anni ’40 non lo prevedeva.

Il dolore te lo sei portata sempre dentro, un senso di inadeguatezza, ma soprattutto di profonda ingiustizia. Le ali tarpate solo perché donna, con l’aggravante di essere bella.

Poi è arrivato il matrimonio, le figlie, sembrava che quasi non importasse più, come se andasse bene così.

Mentre crescevo il tuo messaggio è passato sempre, forte, chiaro, senza bisogno di troppe parole. Il futuro per le tue figlie sarebbe stato studiare e lavorare, anche una famiglia, certo, ma prima costruire se stesse, trovare la propria strada, la propria autonomia e la propria indipendenza.

I cambiamenti passano per i grandi movimenti, per le rivoluzioni, ma anche per il lavoro di educazione che la tua generazione ha fatto per la nostra affinché noi la trasmettessimo alle nostre figlie, perché nessuno mai più potesse decidere per loro la lunghezza di una gonna, l’altezza di un tacco, gli studi e le aspirazioni e potessero essere ciò che desideravano, pittrici o astronaute, assecondando la loro indole.

Così quando risposi a quell’annuncio sul giornale, quando poco dopo la laurea cominciai a lavorare per una grande Compagnia, non è stato soltanto il raggiungimento di un mio traguardo, ma anche del tuo, il compimento di un sogno, che ripara anche l’ingiustizia profonda che hai subito tu, bellissima e intelligentissima ragazza degli anni ’40.

Non hai fatto in tempo a vederlo, ma tua nipote sta studiando per diventare ingegnere.

Grazie mamma.