Quello è il momento

Giuseppe Ascione da GOSP - Generali Operations Service Platform
Ancora non lo sai che quello è il momento, l'attimo in cui entri nella svolta, nella porta girevole da cui uscirai proiettato in una nuova direzione.

Non lo sai perché i pezzi vanno a posto un po' alla volta: nel momento si intuisce un movimento, si intravede un disegno, una possibilità, un indizio ma sei ancora troppo vicino, troppo concentrato su quella porzione di vita per riuscire ad alzare lo sguardo e dare un senso, comprendere.

Il volo è in leggero ritardo e quando atterriamo a Roma siamo stanchi ma ciò che abbiamo con noi annulla fatica e distanze.

Io e Tania, mia moglie, arriviamo dall'Etiopia, Addis Abeba, una città che traspira Africa profonda ed echi di un passato coloniale che a noi Italiani la rende meno esotica, un po' familiare, ma è pur sempre un altro mondo, specie per noi che respiriamo aria di provincia da quasi tutta la vita.

Dieci giorni, quasi tutti spesi in un grande albergo con rarissime prudenti uscite.

Una in ambasciata, a preparare visti e documenti.

Gran parte del tempo se ne va in lunghe passeggiate nel parco dell'Hotel Ghion, sontuoso ed un po' decadente, una specie di gemma impolverata, incastonata fra lunghi viali, brulicanti vita e caos, palazzi in costruzione, sprazzi di ricchezza e progresso economico che fanno ombra a file di baracche.

Siamo li ad aspettare che il tempo stabilito dagli accordi internazionali sia tutto consumato.
L'Etiopia è fuori, oltre i cancelli dell'Hotel, ma la prudenza suggerisce di uscire il meno possibile e solo accompagnati. La vedremo un'altra volta: quando nostro figlio chiederà di tornare per riprendere contatto con le sue radici.

Perché già sappiamo che succederà.

Nostro figlio, mio figlio: gioco con le parole tenendole sospese in aria perché mancano ancora un paio di visti, qualche timbro, un documento per dire che si, quel bambino di quindici mesi che fino a ieri cercava una famiglia ora ne ha una, confusa e smarrita, ma si, nero su bianco, pronta ad affrontare la frontiera.

Roma, imbarco del volo per Venezia, occhi cerchiati, viaggiatori irritati. E' tardi, faremo tardi ma che importa. A noi, almeno, non importa. Stiamo tornando a casa.

Tengo mio figlio in braccio, occhi spalancati sullo spettacolo di un mondo che non può neanche intuire, lui, uscito da pochi giorni dal piccolo cortile di un orfanotrofio che fino a due settimane prima era tutto e solo ciò che aveva.

Passeggio lungo la fila all'imbarco e finalmente incrocio lo sguardo di due volti familiari, Marco e Lorenzo.

Loro sono fuori posto. Io sono fuori posto. Perché il posto che abbiamo in comune è l'ufficio: io lavoro da un paio d'anni in Generali, come consulente esterno e collaboro con Lorenzo.

Qualche settimana prima Lorenzo mi ha proposto di entrare in Generali; apprezza il modo in cui lavoro, e mi ha offerto una buona opportunità.
Mi sono riservato di decidere ma entrambi sappiamo che finirò per accettare e la ragione principale è in braccio a me e lo fissa stranito.

L'incontro dura poco perché bastano poche parole, contano più gli sguardi ed i sorrisi: Marco e Lorenzo sono sorpresi quanto me di quella coincidenza che ci ha fatti collidere li, sul volo per Venezia, contro ogni probabilità. Hanno compreso subito il carattere privato ed irripetibile della bolla di felicità e stanchezza in cui mi trovo adesso quindi si tengono alla giusta distanza, quella che ti fa sentire il calore senza bruciare di invadenza.

Il modo in cui ci salutiamo ed il pezzetto di unicità che stiamo condividendo, ecco, toglie al termine collega quel che di arido ed impersonale, solitamente, si porta dietro.

Dunque quello è il momento. Lo riconosco solo adesso, che ho maturato dodici anni di lavoro nel gruppo.

Riconosco adesso che li, in quella fila all'imbarco, c'era il punto di accumulazione di tante piccole e grandi scelte e decisioni.

Ed è li che la traiettoria ha preso l'angolo giusto grazie anche all'ultima impercettibile spinta di due nuovi colleghi, incrociati mentre torniamo verso casa, di ritorno da un altro pianeta, con una nuova vita di cui prenderci cura.

Quello è il momento

Ancora non lo sai che quello è il momento, l'attimo in cui entri nella svolta, nella porta girevole da cui uscirai proiettato in una nuova direzione.

Non lo sai perché i pezzi vanno a posto un po' alla volta: nel momento si intuisce un movimento, si intravede un disegno, una possibilità, un indizio ma sei ancora troppo vicino, troppo concentrato su quella porzione di vita per riuscire ad alzare lo sguardo e dare un senso, comprendere.

Il volo è in leggero ritardo e quando atterriamo a Roma siamo stanchi ma ciò che abbiamo con noi annulla fatica e distanze.

Io e Tania, mia moglie, arriviamo dall'Etiopia, Addis Abeba, una città che traspira Africa profonda ed echi di un passato coloniale che a noi Italiani la rende meno esotica, un po' familiare, ma è pur sempre un altro mondo, specie per noi che respiriamo aria di provincia da quasi tutta la vita.

Dieci giorni, quasi tutti spesi in un grande albergo con rarissime prudenti uscite.

Una in ambasciata, a preparare visti e documenti.

Gran parte del tempo se ne va in lunghe passeggiate nel parco dell'Hotel Ghion, sontuoso ed un po' decadente, una specie di gemma impolverata, incastonata fra lunghi viali, brulicanti vita e caos, palazzi in costruzione, sprazzi di ricchezza e progresso economico che fanno ombra a file di baracche.

Siamo li ad aspettare che il tempo stabilito dagli accordi internazionali sia tutto consumato.
L'Etiopia è fuori, oltre i cancelli dell'Hotel, ma la prudenza suggerisce di uscire il meno possibile e solo accompagnati. La vedremo un'altra volta: quando nostro figlio chiederà di tornare per riprendere contatto con le sue radici.

Perché già sappiamo che succederà.

Nostro figlio, mio figlio: gioco con le parole tenendole sospese in aria perché mancano ancora un paio di visti, qualche timbro, un documento per dire che si, quel bambino di quindici mesi che fino a ieri cercava una famiglia ora ne ha una, confusa e smarrita, ma si, nero su bianco, pronta ad affrontare la frontiera.

Roma, imbarco del volo per Venezia, occhi cerchiati, viaggiatori irritati. E' tardi, faremo tardi ma che importa. A noi, almeno, non importa. Stiamo tornando a casa.

Tengo mio figlio in braccio, occhi spalancati sullo spettacolo di un mondo che non può neanche intuire, lui, uscito da pochi giorni dal piccolo cortile di un orfanotrofio che fino a due settimane prima era tutto e solo ciò che aveva.

Passeggio lungo la fila all'imbarco e finalmente incrocio lo sguardo di due volti familiari, Marco e Lorenzo.

Loro sono fuori posto. Io sono fuori posto. Perché il posto che abbiamo in comune è l'ufficio: io lavoro da un paio d'anni in Generali, come consulente esterno e collaboro con Lorenzo.

Qualche settimana prima Lorenzo mi ha proposto di entrare in Generali; apprezza il modo in cui lavoro, e mi ha offerto una buona opportunità.
Mi sono riservato di decidere ma entrambi sappiamo che finirò per accettare e la ragione principale è in braccio a me e lo fissa stranito.

L'incontro dura poco perché bastano poche parole, contano più gli sguardi ed i sorrisi: Marco e Lorenzo sono sorpresi quanto me di quella coincidenza che ci ha fatti collidere li, sul volo per Venezia, contro ogni probabilità. Hanno compreso subito il carattere privato ed irripetibile della bolla di felicità e stanchezza in cui mi trovo adesso quindi si tengono alla giusta distanza, quella che ti fa sentire il calore senza bruciare di invadenza.

Il modo in cui ci salutiamo ed il pezzetto di unicità che stiamo condividendo, ecco, toglie al termine collega quel che di arido ed impersonale, solitamente, si porta dietro.

Dunque quello è il momento. Lo riconosco solo adesso, che ho maturato dodici anni di lavoro nel gruppo.

Riconosco adesso che li, in quella fila all'imbarco, c'era il punto di accumulazione di tante piccole e grandi scelte e decisioni.

Ed è li che la traiettoria ha preso l'angolo giusto grazie anche all'ultima impercettibile spinta di due nuovi colleghi, incrociati mentre torniamo verso casa, di ritorno da un altro pianeta, con una nuova vita di cui prenderci cura.